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canto sesto 177

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     che tra le siepi e gli arbori stillanti
or gli appariva ed or parea fuggito:
ma s’accorse egli ben, passando avanti,
che immobile era quello e stabilito,
e di propor quel segno ai passi erranti,
o piuttosto al notar, prese partito:
e cosí, fatto piú d’un miglio a guazzo,
si ritrovò dinanzi ad un palazzo.
33
     Grande era questo e bello a dismisura,
con logge intorno intorno e con veroni,
davanti al qual s’udian per l’aria oscura
piover due fonti con perenni suoni.
Vide il topo la mole e la figura
questa aver che dell’uomo han le magioni:
dal lume il qual d’una finestra uscía,
ch’abitata ella fosse anco apparia.
34
     Però di fuor con cura e con fatica
cercolla il topo stanco in ogni canto,
per veder di trovar nòva od antica
fessura ov’ei posar potesse alquanto,
non molto essendo alla sua specie amica
la nostra insin dalla stagion ch’io canto;
ma per molto adoprarsi, una fessura
né un buco non trovò per quelle mura.
35
     Strano questo vi par, ma certo il fato
intento il conducea lá dove udrete.
Che vedendosi omai la morte allato,
che il Cesari chiamò «mandar pel prete»,
e sentendosi il conte esser dannato
d’ogni male a morir fuor che di sete
se fuor durasse, di cangiar periglio,
d’osare e di picchiar prese consiglio.