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canto quarto 149

24
     E se colma d’angoscia e di paura
del topolin la vita ci apparisce,
il qual mirando mai non s’assicura,
fugge e per ogni crollo inorridisce,
corruzion si creda e non natura
la miseria che il topo oggi patisce,
a cui forse il menâr quei casi in parte
che seguitando narran queste carte.
25
     E la dispersion della sua schiatta
ebbe forse d’allor cominciamento,
la qual raminga in sulla terra è fatta,
perduto il primo e proprio alloggiamento,
come il popol giudeo, che mal s’adatta,
esule, sparso, a cento sedi e cento,
e di Solima il tempio e le campagne
di Palestina si rammenta e piagne.
26
     Ma il novello signor, giurato ch’ebbe
servar esso e gli eredi eterno il patto,
incoronato fu come si debbe;
e il manto si vestí di pel di gatto,
e lo scettro impugnò che d’auro crebbe,
nella cui punta il mondo era ritratto,
perché credeva allor del mondo intero
la specie soricina aver l’impero.
27
     Dato alla plebe fu cacio con polta,
e vin vecchio gittâr molte fontane,
gridando ella per tutto allegra e folta:
— Viva la Carta e viva Rodipane! —
tal ch’echeggiando quell’alpestre volta
«carta» per tutto ripeteva e «pane»;
cose al governo delle culte genti,
chi le sa ministrar, sufficienti.