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canto quarto 147

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     In quell’etá, d’un’aspra guerra in onta,
altra filosofia regnar fu vista,
a cui dinanzi valorosa e pronta
l’etá nostra arretrossi, appena avvista
di ciò che piú le spiace e che piú monta,
esser quella in sostanza amara e trista;
non che i principi in lei né le premesse
mostrar false da sé ben ben sapesse.
17
     Ma false o vere, ma deformi o belle
esser queste si fosse o no mostrato,
le conseguenze lor non eran quelle
che l’uom d’aver per ferme ha decretato,
e che per ferme avrá fin che le stelle
d’orto in occaso andran pel cerchio usato;
perché tal fede in tali o veri o sogni
per sua quiete par che gli bisogni.
18
     Ed ancor piú, perché da lunga pezza
è la sua mente a cotal fede usata,
ed ogni fede a che sia quella avvezza
prodotta par da coscienza innata:
che, come suol con grande agevolezza
l’usanza con natura esser cangiata,
cosí vien facilmente alle persone
presa l’usanza lor per la ragione.
19
     Ed imparar cred’io che le piú volte
altro non sia, se ben vi si guardasse,
che un avvedersi di credenze stolte
che per lungo portar l’alma contrasse,
e del fanciullo racquistar con molte
cure il saper che a noi l’etá sottrasse;
il qual giá piú di noi non sa né vede,
ma di veder né di saper non crede.