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Era maggio, che amor con vita infonde,
e il cúculo cantar s’udia lontano,
misterioso augel, che per profonde
selve sospira in suon presso che umano,
e, qual notturno spirto, erra e confonde
il pastor che inseguirlo anela invano,
né dura il cantar suo, che in primavera
nasce e il trova l’ardor venuto a sera. 5
Come ad Ulisse ed al crudel Tidide,
quando ai nòvi troiani alloggiamenti
ivan per l’ombre della notte infide,
rischi cercando e insoliti accidenti,
parve l’augel che si dimena e stride,
segno, gracchiando, di felici eventi
arrecar da Minerva, al cui soccorso
l’uno e l’altro, invocando, era ricorso; 6
non altrimenti il topo, il qual solea
voci e segni osservar con molta cura,
non so giá da qual nume o da qual dea,
topo o topessa o di simil natura,
sperò certo, e mestier gliene facea
per sollevare il cor dalla paura,
che il cuculo, che i topi han per divino,
nunzio venisse di non reo destino. 7
Ma giá dietro boschetti e collicelli
antica e stanca in ciel salia la luna,
e sugli erbosi dorsi e i ramuscelli
spargea luce manchevole e digiuna,
né manifeste l’ombre a questi e quelli
dava, né ben distinte ad una ad una;
le stelle nondimen tutte copria,
e desiata al peregrin venía.