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Rispose quella: — O padre, assai t’inganni:
vadan, per conto mio, tutti a Plutone;
ché ne’ miei tempii fanno mille danni;
si mangian l’orzo, guastan le corone,
mi succian l’olio, onde m’è spento il lume;
talor anche lordato hanno il mio nume. 21
Ma quel che piú mi scotta (e per insino
che non me l’han pagata io non la inghiotto)
è che il vestito bianco, quel piú fino,
ch’io stessa avea tessuto, me l’han rotto,
rotto e guasto cosí che mel ritrovo
trasformato in un cencio; ed era nòvo. 22
Il peggio è poi che mi sta sempre attorno
il sarto pel di piú de la mercede:
ben sa ch’io non ho soldi; e tutto il giorno
mi s’arruota a le coste e me ne chiede.
La trama, ch’una tal m’avea prestata,
non ho renduto ancor, né l’ho pagata. 23
Ma non resta perciò ch’anco le rane
non abbian vizi e pecche pur assai.
Una sera di queste settimane,
pur troppo a le mie spese, io lo provai.
Sudato s’era in campo tra le botte
dal far del giorno insino a tarda notte. 24
Postami per dormire un pocolino,
ecco un crocchiare eterno di ranocchi
m’introna in guisa tal, ch’era il mattino
giá chiaro quando prima io chiusi gli occhi.
Or quanto a questa guerra, il mio parere
è lasciar fare e starcela a vedere.