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90 i - versi

14
     Due cose io temo: lo sparvier maligno,
e ’l gatto, contra noi sempre svegliato.
S’avvien che ’l topo incorra in quell’ordigno
che trappola si chiama, egli è spacciato:
Ma piú che mai del gatto abbiam paura:
arte non val con lui, non val fessura.
15
     Non mangiam ravanelli o zucche o biete:
questi cibi non fan pel nostro dente.
A voi, che di null’altro vi pascete,
di cor gli lascio e ve ne fo presente. —
Rise la rana e disse: — Hai molta boria;
ma dal ventre ti vien tutta la gloria.
16
     Hanno i ranocchi ancor leggiadre cose
e negli stagni loro e fuor dell’onde.
Ciascun di noi su per le rive erbose
scherza a sua posta o nel pantan s’asconde;
però ch’al gener mio dal ciel fu dato
notar nell’acqua e saltellar nel prato.
17
     Saper vuoi se ’l notar piaccia o non piaccia?
montami in su le spalle: abbi giudizio;
sta’ saldo; al collo stringimi le braccia,
per non cader ne l’acqua a precipizio:
cosí verrai per questa ignota via
senza rischio nessuno a casa mia. —
18
     Cosí dicendo, gli ómeri gli porse.
Balzovvi il sorcio, e con le mani il collo
del ranocchio abbracciò che ratto corse
via dalla riva, e seco trasportollo.
Rideva il topo, e rise il malaccorto
finché si vide ancor vicino al porto.