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Così pugnando sol contro infiniti
Durò finchè il veder non venne manco.
Poi che il sol fu disceso ad altri liti,
Sentendo il mortal corpo afflitto e stanco,
E di punte acerbissime feriti,
E laceri in più parti il petto e il fianco,
Lo scudo ove una selva orrida e fitta
D’aste e d’armi diverse era confitta,
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Regger più non potendo, ove più folti
Gl’inimici sentia, scagliò lontano.
Storpiati e pesti ne restaron molti,
Altri schiacciati insucidaro il piano.
Poscia gli estremi spiriti raccolti
Pugnando mai non riposò la mano
Finchè densato della notte il velo
Cadde, ma il suo cader non vide il cielo.
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Bella virtù, qualor di te s’avvede,
Come per lieto avvenimento esulta
Lo spirto mio: nè da sprezzar ti crede
Se in topi anche sii tu nutrita e culta.
Alla bellezza tua ch’ogni altra eccede,
O nota e chiara o ti ritrovi occulta,
Sempre si prostra: e non pur vera e salda,
Ma imaginata ancor, di te si scalda.