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Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l’empia
Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo1.

Non meno supplichevole Giacomo guarda ad Aspasia; onde ricorderà:

Or ti vanta, che il puoi...
               . . . Narra che prima.
E spero ultima certo, il ciglio mio
Supplichevol vedesti, a te dinanzi
Me timido, tremante (ardo in ridirlo
Di sdegno e di rossor), me di me privo,
Ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto
Spiar sommessamente, a’tuoi superbi
Fastidi impallidir...2

E cadde l’inganno, e la vita, orba d’affetto e del gentile errore, fu «notte senza stelle a mezzo il verno». Ma Saffo proruppe nel grido disperato: — Morremo! — e violenta cercò l’atra notte e la silente riva. Leopardi scrisse invece Amore e morte; dove la morte non è più l’orrido Dite di Saffo, anzi si palesa in tutta la sua gentilezza fino alla donzella timidetta e schiva. E sorella d’Amore:

Bellissima fanciulla,
Dolce a veder, non quale
La si dipinge la codarda gente.
Gode il fanciullo Amore
Accompagnar sovente;
E sorvolano insiem la via mortale.
Primi conforti d’ogni saggio core3,

  1. Ultimo canto di Saffo (1822).
  2. Aspasia (1834).
  3. Amore e morte (1832).