la potenza della natura; pur questa non è ridotta a nulla, né siamo noi mutati e innovati tanto, che non resti in ciascuno gran parte dell’uomo antico. Il che, mal grado che n’abbia la stoltezza nostra, mai non potrà essere altrimenti. E credi a me che non è fastidio della vita, non disperazione, non senso della nullità delle cose, della vacuità delle cure, della solitudine dell’uomo: non odio del mondo e di se medesimo; che possa durare assai: benché queste disposizioni dell’animo siano ragionevolissime, e le lor contrarie irragionevoli. Ma contuttociò, passato un poco di tempo, mutata leggermente la disposizione del corpo; a poco a poco, e spesse volte in un subito, per cagioni menomissime e appena possibili a notare; rifassi il gusto della vita, nasce or questa or quella speranza nuova, e le cose umane ripigliano quella loro apparenza, e mostransi non indegne di qualche cura; non veramente all’intelletto; ma sì, per modo di dire, al senso dell’animo» 1. E infine, conclude Plotino, questo senso, non l’intelletto, è quello che ci governa. Sicché è evidente che non la filosofia negativa che spazia dal Dialogo d’Ercole e di Atlante fino al Cantico del Gallo silvestre e al Frammento di Stratone, e poi nel Copernico, opera di puro intelletto, è la somma della sapienza leopardiana; ma questa stessa filosofia in quanto dichiarata stoltezza dalla natura e da questo «senso dell' animo».
Senso dell'animo, che è sempre amore per il Leopardi. Giacché non la sola natura ci riattacca alla vita, sì anche un bisogno d’amore, che a noi spetta di alimentare: «E perché», chiede Plotino, «anche non vorremo noi avere alcuna considerazione degli amici; dei congiunti di sangue; dei figliuoli, dei fratelli, dei genitori, della moglie ; delle persone familiari e dome-
- ↑ Il solo, a mia notizia, che abbia rilevato l'importanza che questo «senso dell’animo» ha nel sistema dello spirito leopardiano, come principio di redenzione dal pessimismo, è stato il prof. GIOVANNI NEGRI, nelle sue Divagazioni leopardiane (6 volumi, Pavia, 1894-99), passim, e specialmente vol. V, pp. 173-17.