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virtù, perchè la natura stessa lo fece nascere alle lettere e alle dottrine.
Dileguata quest’ultima consolazione, la sola che si possa chiedere alla stessa eccellenza dell’animo, quando altra realtà, e fonte eventuale di gioia, non si vegga da quella che l’animo mira esterna a se stesso, qual porto rimane allo stanco spirito umano? Vivere infelice? E sia; ma se non si può nè anche farsi un monumento della propria infelicità?
Sola nel mondo, eterna, a cui si volve |
La risposta viene dai morti, che si svegliano per un quarto d’ora nello studio di Ruysch, e cantano, e descrivono questa loro sicurezza dall’antico dolor, nella quale vivono immortali; senza speme, ma non in desio, come le anime del limbo dantesco:
Profonda notte |
Vita vuota, dunque, anche quella: ma senza sentimento. Vero porto, in cui il povero Islandese finalmente avrà pace, e in cui ti può giungere in un languore di sensi senza patimento, com’è degli ultimi istanti della vita, quando sopravvive solo un senso «non molto dissimile dal difetto che è cagionato agli uomini dal languore del sonno, nel tempo che si vengono addormentando». Dolce morte liberatrice! — Ma prima che la morte ci abbia sciolti dal tedio? — Filosofare, come Filippo Otto-