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270 — | pieno di noia, ed ancor meno tollerabile che questa vita A ciascheduno è palese 1’ acerbità di que* tuoi supplicii ; ma la dolcezza de’tuoi premii è nascosa, ed arcana, e da non potersi comprendere da mente d’ uomo. Onde nessuna 5 efficacia possono aver cosi fatti premii di allettarci alla rettitudine e alla virtù. E in vero, se molto pochi ribaldi, per timore di quel tuo spaventoso Tartaro si astengono da alcuna mala azione; mi ardisco io di affermare che mai nessun buono, in un suo menomo atto, si mosse a bene operare 10 per desiderio di quel tuo Eliso. Che non può esso alla immaginazione nostra aver sembianza di cosa desiderabile. Ed oltre che di molto lieve conforto sarebbe eziandio la espettazione certa di questo bene, quale speranza hai tu lasciato che ne possano avere anche i virtuosi e i giusti; 15 se quel tuo Minosse, e quello Eaco e Radamanto, giudici rigidissimi e inesorabili, non hanno a perdonare a qualsivoglia ombra o vestigio di colpa? E quale uomo è che si possa sentire o credere cosi netto e puro come lo richiedi tu ? (Sicché il conseguimento di quella qual che si sia felicità viene a esser quasi impossibile : e non basterà la coscienza della più retta e della più travagliosa vita ad assicurare l‘ uomo in sull' ultimo, dalla incertezza del suo stato futuro, e dallo spavento de' gastighi. Cosi per le tue dottrine il timore, superata con infinito intervallo la speranza, è fatto 25. signore dell’ uomo : e il frutto ji esse dottrine ultimamente è questo; che il genere umano, esempio mirabile d'infeji- cità in questa vita, si aspetta non che la morte sia fine alle sue* miserie, ma di avere a essere, dopo quella, assai più infelice. Con che tu hai vinto di crudeltà, non pur la natura 30 e il fato, ma ogni tiranno più fiero, e ogni più spietato carnefice che fosse al mondo. Ma. eoa qual , barbarie si può paragonare quel tuo ^decreto, che all'uomo non sia lecito di por fine a’suoi pati- — 271 —