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xviii

sé all’ uomo: al povero Islandese, che la vien fuggendo per tutte le parti della terra, e se la vede sempre innanzi, e sopra, incubo schiacciante: e l’ha innanzi, prima di morire, in effigie di donna, di forma smisurata, seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; viva, di volto tra bello e terribile, occhi e capelli nerissimi, con lo sguardo fisso e intento. — Perché, le chiede il povero errante, tu sei «carnefice della tua propria famiglia, de’ tuoi figliuoli e, per dir cosi, del tuo sangue e delle tue viscere», e «per niuna cagione, non lasci mai d’incalzarci, finché ci opprimi?» — «Se io vi diletto o vi benedico, io non lo so», risponde la Natura. La vita dell’universo è un circolo perpetuo di produzione e distruzione. — Ma, riprende l’Islandese, poiché chi è distrutto patisce, e chi distrugge sarà distrutto, «dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono?» — E prima di aver la risposta l’Islandese è mangiato dai leoni, già cosi rifiniti e maceri dall’inedia, che con quel pasto si tennero in vita ancora per quel giorno, e non più. Questa Natura, che non sa il bene e il male dell’uomo, è la Natura che ha detto a principio all’anima: — Sii grande, e infelice; — perché la vita è infelicità, in quanto è noia; e noia è, perché vuota; e non può non esser vuota, se l'uomo è di fronte a questa Natura terribile nel cui perpetuo giro esso rientra, molecola ignorata e senza valore appena si stacchi dalle cose con la sua coscienza, e vi si contrapponga. L’uomo dunque è veramente infelice, come dice il primo dialogo, perché con la sua attività (che è l’anima, il sentire) non ha posto nella natura, che è poi tutto. E perciò l’anima è vuota, e la vita è tedio.

V.

E qui potè parere al Leopardi, come osservammo, di aver esaurito il proprio tema; e, prevedendo le facili critiche, che non sarebbero mancate al piccolo e doloroso libro, ritenne opportuno difenderlo col Timandro. Ma poi considerò che la