Pagina:Leopardi - Operette morali, Gentile, 1918.djvu/297

233 — DELLA FINE DEL MONDO. Questo mondo presente del quale gli uomini sono parte, cioè a dire 1’ una delle specie delle quali esso è composto, quanto tempo sia durato (ino qui, non si può facilmente dire, come né anche si può conoscere quanto tempo esso sia 5 per durare da questo innanzi. Gli ordini che lo reggono paiono immutabili, e tali sono creduti, perciocché essi non si mutano se non che a poco a poco e con lunghezza incomprensibile di tempo, per modo che le mutazioni loro non cadono appena sotto il conoscimento, non che sotto i 10 sensi dell* uomo. La quale lunghezza di tempo, quanta che ella si sia, è ciò non ostante menoma per rispetto alla durazione eterna della materia. Vedesi in questo presente mondo un continuo perire degl’ individui ed un continuo trasformarsi delle cose da una in altra; ma perciocché la 15 distruzione è compensata continuamente dalla produzione, e i generi si conservano, stimasi che esso mondo non abbia né sia per avere in se alcuna causa per la quale debba né possa perire, e che non dimostri alcun segno di caducità. Nondimeno si può pur conoscere il contrario, e ciò 20 da più d’ un indizio, ma tra gli altri da questo. Sappiamo che la terra, a cagione del suo perpetuo rivolgersi intorno al proprio asse, fuggendo dal centro le parti dintorno all’ equatore, e però spingendosi verso il centro quelle dintorno ai poli, è cangiata di figura e con- 25 tinuamente cangiasi, divenendo intorno all* equatore ogni di più ricolma, e per lo contrario intorno ai poli sempre più deprimendosi. Or dunque da ciò debbe avvenire che in 4 S fin —