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dell’Islandese: e quindi volgersi indietro a giudicare e difendere il libro. Passarono infatti dodici giorni senza che si sentisse più riattirato verso il suo lavoro, ripreso il 6 luglio col Parini, e condotto innanzi a sbalzi fino alla fine dell’anno, quando fu compiuto il Cantico del Gallo silvestre: altre sei operette in tutto, che s’è condotti a pensare formino un gruppo distinto, nato da questo risorgimento, seguito al Timandro, del motivo ispiratore delle operette.

III.

Ma tutto ciò, si può dire, non prova nulla per l’organismo e unità dell’opera leopardiana, se questa unità non si trova effettivamente nel suo intimo. Ed è vero. Come è pur vero che quando tale unità sia bene messa in luce con lo studio interno del libro, può anche apparire inutile affatto tutto questo preambolo, indirizzato ad argomentare che l’unità ci doveva essere. Ma è infine non meno vero che non si trova quel che non si cerca; e che l’unità delle Operette leopardiane, ritenute generalmente una semplice raccolta, aumentabile (con la Comparazione delle sentenze di Bruto minore e di Teofrasto, come tutti fanno), o riducibile (come pure han creduto gli autori delle varie scelte di prose leopardiane) non si è mai indagata, perché si sono ignorati o trascurati tutti questi indizi di un disegno, che lo stesso autore ritenne essenziale.
 Intanto, lo spostamento osservato del Timandro, epilogo, in origine, delle Operette, ci ha condotto a scorgere un gruppo, che non è forse il solo tra questi singoli scritti, così come vennero quasi rampollando l’uno dall’altro. Sottraendo, oltre il Timandro, destinato ad epilogo, la Storia del genere umano, che, per il suo distacco formale dal resto delle operette (è la sola infatti che abbia la forma di un mito), e la sua rappresentazione complessiva, in iscorcio, di tutto il destino del genere umano, a parte a parte ritratto poscia nelle varie prose, si può