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DISCORSO.

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il suo poetare che l'uman seme si fosse lasciati rapire gli errori lusinghevoli (che il vero dissipa come il sole nebbia), e si volgesse a dar di cozzo nello spaventoso vero di una infinita vanità del tutto. Al qual vero non ha trepidato di affrontarsi in queste morali operette: cominciando dalla vanità della gloria; che fu ed è idolo sospirato di tutti gl'ingegni: il qual idolo buttò a terra e spezzò nel lungo e tanto logico ragionamento che fa discorrere al Parini: tutto pieno di concetti sottili, ma ad ognuno probabili. E assai mi giova che abbia filosofando voluto e saputo degnamente onorare il buon Parini; che mi doleva di veder taciuto da lui nella magnifica ode al Mai; dove altri gran poeti sono meritamente celebrati. Sinchè non fu udita in Italia la poesia di Leopardi(la quale fu da ben pochi attentamente udita) non era dopo Dante, per utilità morale, chi mettere nè innanzi nè appresso al Parini; lirico nelle odi singolare; nel poema trovatore di nuova materia; e fabro di stile a tal novità egregiamente appropriato. E quello che più importa, veramente utile, e magnanimo: il quale osò e seppe fare una santissima vendetta delle sociali ingiustizie; trasferendo dalla povertà alla insolente ricchezza il ridicolo; giustizia non così agevole a compiersi contro la viltà e perversità della generale usanza; che da antichissimo esaltò l'opulenza, ed abbiettò la penuria e la schernì: miseria la più dura della