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DISCORSO.

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gli occorse altra maniera di spandersi, dacchè ridusse l'animo affaticato da nobilissimi dolori a più sedati nè però meno dolenti pensieri. Perciocchè stanco infine di sospirare tanto infruttuosamente che ci divenga patria questa Italia, nella quale miseri e stranieri viviamo; stanco di supplicare senza profitto alle donne che vogliano amare qualche cosa che non sia vanità palese, e di esortare i giovani che antimettano lodabili fatiche ad ozio noioso; spinse per altro mare la vela dell'affannato ingegno, ad investigare le cagioni arcane di tanti mali che gli apparivano senza rimedio: approdò a quella filosofia non lusinghevole, che non fa allegro ma quieto l'animo profondamente e insanabilmente buono; costituendolo denudato di speranze e desiderii vani, immobile contemplatore della universale insuperabile necessità. Cotesto suo generoso e austero proponimento aveva già con versi pieni di maestà annunziato nel fine della sua epistola al conte Carlo Pepoli:

Altri studi men dolci, in ch'io riponga
L'ingrato avanzo della ferrea vita,
Eleggerò. L'acerbo vero, i ciechi
Destini investigar delle mortali
E dell'eterne cose; a che prodotta,
A che d'affanni e di miserie carca
L'umana stirpe; a quale ultimo intento
Lei spinga il fato e la natura; a cui
Tanto nostro dolor diletti o giovi;
Con quali ordini e leggi, a che si volva
Questo arcano universo; il qual di lode