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DISCORSO.
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da un genere che spesso ama rimuoversi dall'usato e comune e piano; e nei vocaboli e nei modi e nelle figure adopera licenze, nelle quali non è si pronto nè allo scrivente nè a leggenti discernere le improprietà e le inesattezze. Di qui ho riputato sempre che tanta molesta turba di scrittorucci confusi oscuri falsi ci provenga dalle pestifere scuole e dall'usanza perversa universale che gl'imberbi, tosto che hanno (o credono avere) alcuna cosa da dire, si danno a verseggiare: e fatto l'abito di un dettar figurato, improprio, gonfio, licenzioso, intricato, divengono inetti a comporre vero e lucido nè in prosa nè in versi. Laddove se principiassero dal disegnar semplice con puri lineamenti del comune parlare i loro pensieri, avrebbero poi facil passaggio a riempire quei netti e naturali dintorni colle immagini e i colori decenti della buona poesia. E di fatto i veri maestri (dietro la sentenza di quel grande antico) c'insegnano per saggiare il metallo de' versi fonderlo quasi in copella in prosa volgare: quello che scade a tal cimento esser lega falsa. Questo non potei persuadere al Conte Leopardi: ed era mio il torto; poichè non comportava la natura che patisse le ordinarie leggi un tanto straordinario e trascendente capo. Nè però un esempio singolare (o certamente rarissimo) sarà senza danno di molti che volessero temerarii imitarlo. I quali non avranno, com'egli ebbe, da un'assidua e intima domestichezza cogli