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DISCORSO.

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Sapete voi che io sono vicino a credere che Torquato Tasso, duecento tre anni dopo che ebbe riposo de' suoi lunghi e indegnissimi affanni, sia rinato: e serbando intera quella sua indole ingegnosa e malinconica, e quella sua potenza di versi e più di prosa, quel suo filosofare (non più povero nelle scure angustie delle scuole fratesche, ma correndo ricco la tanta e lucente ampiezza delle moderne dottrine) viva e scriva nella propria persona del mio carissimo Giacomo Leopardi? Questo miracolo (per me è miracol vero) nacque in Recanati; piccola terra, che il papa chiama città; vicina quttro miglia a Loreto, quel gran mercato d'ignobili superstizioni. Ponete mente il luogo, o amici. Ivi tutti i mali d'Italia, e niuna consolazione. In tanto buio di cenciosa e superstiziosa e feroce ignoranza, come vide il Conte Giacomo esservi un immenso mondo intellettuale, e s'invogliò di correrlo, se non gliene rivelava (sino da puerizia!) il suo incredibile ingegno? Complessione delicatissima, e non sofferente i grossi piaceri; estrema solitudine senza niuno divagamento; alquanti buoni libri antichi in casa; leggere e meditare ostinato, dove non altra materia a tanta attività di mente; gli fecero prima conoscere il mondo di duemil'anni addietro che il presente: e ciò che stupendo è da quell'antico mondo perduto dedusse qual sia e quanto vaglia questo mondo nostro, fuori del quale viveva. Cosicchè io visitandolo nella