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DIALOGO.
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carnefici: e sospettosi l'uno dell'altro, o vinti o vincitori, vivono in continua trepidazione, infelicissimi sempre. Nel che fare eglino veramente non sono rei; imperrochè obbedendo a quella suprema legge di natura che sforza l'uomo ad amare sè stesso, e nascendo vivendo in mezzo a gente che quasi sempre cerca la sodisfazione di cotesto amore nel danno altrui, si assuefanno quasi insensibilmente a credere che questo sia l'unico modo di amare sè e di cercare felicità, e a tale credenza conformano le azioni loro. Ora chi riuscisse a persuaderli che s'ingannano, e che la società umana sarà tanto meno infelice, quanto cotesta lotta del male andrò scemando e succederà ad essa l'emulazione nel procacciare il bene altrui, non farebbe egli opera meritoria? E posto che il persuadere agli uomini una verità così semplice ed evidente sia cosa molto difficile, non sarà egli e buono e nobile e morale il tentarla?
Questo appunto, secondo che pare a me, si propose il Leopardi co' suoi scritti filosofici; e queste da me accennate brevemente sono le sole vere conseguenze che da essi rampollano. Con che parmi ch'e' restino purgati sufficientemente dalla accusa d'immoralità.
- Giobertiano.
- Che voi abbiate fatto del vostro meglio per riuscire a ciò, concedo; ma non concedo che ci siate riuscito. Pure vi ho ascoltato con piacere, e volentieri tornerò ad ascoltarvi, se vi piacerà che altra volta prendiamo a ragionare di questa materia. Per oggi il nostro dialogo s'è prolungato anche troppo; ond'io penso di serbarvi a tempo migliore le mie obiezioni.
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