Pagina:Leopardi - Operette morali, Chiarini, 1870.djvu/51

DIALOGO.

xxxxvij


carnefici: e sospettosi l'uno dell'altro, o vinti o vincitori, vivono in continua trepidazione, infelicissimi sempre. Nel che fare eglino veramente non sono rei; imperrochè obbedendo a quella suprema legge di natura che sforza l'uomo ad amare sè stesso, e nascendo vivendo in mezzo a gente che quasi sempre cerca la sodisfazione di cotesto amore nel danno altrui, si assuefanno quasi insensibilmente a credere che questo sia l'unico modo di amare sè e di cercare felicità, e a tale credenza conformano le azioni loro. Ora chi riuscisse a persuaderli che s'ingannano, e che la società umana sarà tanto meno infelice, quanto cotesta lotta del male andrò scemando e succederà ad essa l'emulazione nel procacciare il bene altrui, non farebbe egli opera meritoria? E posto che il persuadere agli uomini una verità così semplice ed evidente sia cosa molto difficile, non sarà egli e buono e nobile e morale il tentarla? Questo appunto, secondo che pare a me, si propose il Leopardi co' suoi scritti filosofici; e queste da me accennate brevemente sono le sole vere conseguenze che da essi rampollano. Con che parmi ch'e' restino purgati sufficientemente dalla accusa d'immoralità.

Giobertiano.
Che voi abbiate fatto del vostro meglio per riuscire a ciò, concedo; ma non concedo che ci siate riuscito. Pure vi ho ascoltato con piacere, e volentieri tornerò ad ascoltarvi, se vi piacerà che altra volta prendiamo a ragionare di questa materia. Per oggi il nostro dialogo s'è prolungato anche troppo; ond'io penso di serbarvi a tempo migliore le mie obiezioni.