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Dialogo.
xxvij
non iscorge così chiaro come voi quella mentalità superiore assoluta, dalla quale essa attinge pure la sua virtù pensativa. Ma che colpa è la nostra se, per quanto noi desideriamo e cerchiamo ciò, lo spirito increato non si degna di rivelarsi compiutamente a noi sue umili creature, nè di farci accorte che il nostro spirito è qualche cosa di assolutamente distinto dal corpo, e cioè di non caduco e non corruttibile? Che colpa, se l'uno si sente così strettamente legato all'altro con cui nacque, crebbe, si perfezionò, e di cui partecipò tutte le vicende, che non sa concepire di potere esistere senza di lui? Saremmo noi forse i reietti dell'Idea sostanziale e creatrice? noi soli gli sfortunati ch'essa, a tutti gli altri madre benigna, trasse dal nulla, per iscacciarne poi dal proprio seno, e lasciarci in balìa di noi stessi? E perchè ciò? Con quale giustizia? e in punizione di qual fallo?
- Giobertiano.
- Voi vi querelate invano, e invano chiedete ragione a Dio di un fatto, ch'è dalla vostra volontà. Egli vi creò eguali a tutti gli altri, diede a voi come agli altri il libero arbitrio, in virtù del quale poteste e pensare e operare in tutto secondo che vi piaceva. Onde se il vostro pensiero stesso non vi guida a lui, non glie ne date la colpa; non dite che non vi riesce vedere chi splende chiaro come il sole agli occhi di tutti i veggenti; ma dite piuttosto che tenete chiusi gli occhi per non vederlo.
- Razionalista.
- Oh questo poi no. E qui permettete che, lasciando il plurale pel singolare, vi dica che dei fatti miei interiori pretendo esser miglior giudice io di chi che sia, anzi il solo giudice competente. Se il mio pensiero vede o non vede una cosa, se il non vederla procede da volontà o da impotenza, niuno ha diritto di giudicare meglio di me. E quando io dico che il mio