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DIALOGO.

xxiij


de' filosofi suoi avversarii non accetterebbe come buono questo ragionamento, o forse non lo avrà sotto altra forma fatto egli pure? Anzi non è esso un esempio perfettissimo di argomentare di essi filosofi? Se il Leopardi lo mutò poi, egli è perchè certo dovette parergli falso. Io credo che, se gli avvenne di ritornare più tardi sopra quel ragionamento, egli si sarà domandato: Quali prove ho io della verità del fatto affermato con la prima proposizione? O anzi non ho prove del contrario? Posso io dire e credere veramente che un animale, in quel ch'è ferito a morte o da un suo simile o dall'uomo, sia o possa essere contento di sè? Ecco intanto una falsa premessa. Nè più vera di questa è l'altra sottintesa, che ciò ch'è contento di sè, abbia limitata la esistenza a questo mondo; ciò che non è contento, la prosegua fuori di esso. La qual sentenza presuppone quest'altra: che il fine ultimo e necessario di tutti gli esseri animati sia la felicità. Ora chi ha detto ciò all'uomo? e com'è ragionevole, dal vedere che tutti gli animali sono più o meno infelici, argomentare che sono stati creati per esser felici? Teniamo stretto il nostro ragionamento a ciò che l'esperienza c'insegna. Che cosa è per noi la felicità? La sodisfazione dei nostri desiderii. Cosicchè l'uomo che vivendo ottenesse ogni cosa da lui desiderata, sarebbe da ogni parte felice. Ma si trova egli quest'uomo? Non si trova, avvegnachè la natura umana sia tale, che da ogni desiderio sodisfatto ne rampollano de' nuovi. Laddove per contrario infinito è il numero di coloro la cui vita è un succedersi continuo di desiderii non sodisfatti; e questi cotali uomini sono naturalmente infelicissimi: agli altri avviene di conseguire appena una piccola parte delle voglie loro. Dal che sta bene conchiudere che la vita dell'uomo nel mondo è