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XIV

CHIARINI


chi volesse rapirgliela, quanto essa è il frutto di sue fatiche. Ora che altro sono le opinioni di uno scrittore se non la sua più cara proprietà, il frutto dell'opera sua? Aggiungete la superbia umana; la quale, per molto, o poco, o niente che si mostri di fuori, è in tutti grande egualmente, cioè grandissima; e per la quale non pare, a chi ha consumato molta parte della vita negli studi, di poter dire senza vergogna, non che ad altri, a sè stesso, io mi sono ingannato. Quando s'imprende una disputa fra due uomini di pensare diverso, ciascuno si mette all'opera con la persuasione fermissima d'aver con sè la ragione, e col proposito non meno fermo di trarre dalla parte sua l'avversario; la quale persuasione ed il qual proposito sono molto più forti di tutti gli argomenti che quegli potesse accampare. S'intende ch'io parlo soltanto di quelli scrittori che, come noi, professano sinceramente, senza secondi fini, le opinioni che si formarono studiando: perchè di quegli altri (e sono moltissimi) che tengono l'una piuttosto che l'altra dottrina, secondo ch'ella è più o men fortunata nei tempi loro, e porta più o meno tranquillità di vivere onoranza e denari, non accade e non è degno che io mi occupi. I quali si vedranno sempre tenacissimi a difendere quella dottrina, finchè durerà la fortuna di lei; ove questa ceda, cedere anch'essi. Io dunque credo, mio caro amico, che per lunghe e sottili che possano essere le nostre dispute, queste finiranno lasciando anzi confermando ciascuno di noi nella opinione sua propria. Ma ciò che importa? Disputiamo pure, se a voi piace: che, se non altro, ne caveremo qualche diletto; ed in fine nè voi andrete a denunciar me per eretico alla Santa Inquisizione, o a quell'altro non men terribile e sapientissimo tribunale della opinion pubblica, inventato dai