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L’anno ottocento trentatremila dugento settantacinque del regno di Giove, il collegio delle Muse diede fuora in istampa, e fece appiccare nei luoghi pubblici della città e dei borghi d’Ipernéfelo, diverse cedole, nelle quali invitava tutti gli Dei maggiori e minori, e gli altri abitanti della detta città, che recentemente o in antico avessero fatto qualche lodevole invenzione, a proporla, o effettualmente o in figura o per iscritto, ad alcuni giudici deputati da esso collegio. E scusandosi che per la sua nota povertà non si poteva dimostrare così liberale come avrebbe voluto, prometteva in premio a quello il cui ritrovamento fosse giudicato più bello o più fruttuoso, una corona di lauro, con privilegio di poterla portare in capo il dì e la notte, privatamente e pubblicamente, in città e fuori; e poter essere dipinto, scolpito, inciso, gittato, figurato in qualunque modo e materia, col segno di quella corona dintorno al capo.
Concorsero a questo premio non pochi dei celesti per passatempo; cosa non meno necessaria