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guarda per Dio, ch’ella cade: mal abbia il momento che tu ci sei venuto.
Ercole. Così falsa e terra terra me l’hai rimessa, che io non poteva essere a tempo se m’avessi voluto fiaccare il collo. Oimè, poverina, come stai? ti senti male a nessuna parte? Non s’ode un fiato e non si vede muovere un’anima e mostra che tutti dormano come prima.
Atlante. Lasciamela per tutte le corna dello Stige, che io me la raccomodi sulle spalle; e tu ripiglia la clava, e torna subito in cielo a scusarmi con Giove di questo caso, ch’è seguito per tua cagione.
Ercole. Così farò. È molti secoli che sta in casa di mio padre un certo poeta, di nome Orazio, ammessoci come poeta di corte ad instanza di Augusto, che era stato deificato da Giove per considerazioni che si dovettero avere alla potenza dei Romani. Questo poeta va canticchiando certe sue canzonette, e fra l’altre una dove dice che l’uomo giusto non si muove se ben cade il mondo. Crederò che oggi tutti gli uomini sieno giusti, perchè il mondo è caduto, e niuno s’è mosso.
Atlante. Chi dubita della giustizia degli uomini? Ma tu non istare a perder più tempo, e corri su presto a scolparmi con tuo padre, chè io m’aspetto di momento in momento un fulmine che mi trasformi di Atlante in Etna.