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creato ed eretto l’animo degli uomini, e rintegrata in ciascuno di loro la grazia e la carità della vita, non altrimenti che l’opinione, il diletto e lo stupore della bellezza e dell’immensità delle cose terrene. E durò questo buono stato più lungamente che il primo, massime per la differenza del tempo introdotta da Giove nei nascimenti, sicchè gli animi freddi e stanchi per l’esperienza delle cose, erano confortati vedendo il calore e le speranze dell’età verde. Ma in progresso di tempo tornata a mancare affatto la novità, e risorto e riconfermato il tedio e la disistima della vita, si ridussero gli uomini in tale abbattimento, che nacque allora, come si crede, il costume riferito nelle storie come praticato da alcuni popoli antichi che lo serbarono, [nota 467 1] che nascendo alcuno, si congregavano i parenti e loro amici a piangerlo; e morendo, era celebrato quel giorno con feste e ragionamenti che si facevano congratulandosi coll’estinto. All’ultimo tutti i mortali si volsero all’empietà, o che paresse loro di non essere ascoltati da Giove, o essendo propria natura delle miserie indurare e corrompere gli animi eziandio più bennati, e disamorarli dell’onesto e del retto. Perciocchè s’ingannano a ogni modo coloro i quali stimano essere nata primieramente l’infelicità umana dall’iniquità e dalle cose commesse contro agli Dei; ma per lo contrario non d’altronde ebbe principio la malvagità degli uomini che dalle loro calamità.