Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/92

LA VITA SOLITARIA. Odo sonar nelle romite stanze L’arguto canto; a palpitar si move Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna Tosto al ferreo sopor; eh’ è fatto estrano Ogni molo soave al petto mio. O cara luna, al cui tranquillo raggio Danzan le lepri nelle selve; e duolsi Alla mattina il cacciator, che trova L’orme intricate e false, e dai covili Error vario lo svia ; salve, o benigna Delle notti reina. Infesto scende Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro A deserti edifici, in su l’acciaro Del pallido ladron eh’ a teso orecchio Il fragor delle rote e de’ cavalli Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi Sulla tacita via; poscia improvviso Col suon dell’ armi e con la rauca voce E col funereo ceffo il core agghiaccia Al passegger, cui semivivo e nudo Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre Per le contrade cittadine il bianco Tuo lume al drudo vii, che degli alberghi Va radendo le mura e la secreta Ombra seguendo, e resta, e si spaura Delle ardenti lucerne e degli aperti Balconi. Infesto alle malvage menti, A me sempre benigno il tuo cospetto Sarà per queste piagge, ove non altro Che lieti colli e spaziosi campi M’apri alla vista. Ed ancor io soleva, Bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso Baggio accusar negli abitati lochi, Quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando Scopriva umani aspetti al guardo mio. Or sempre loderollo, o eh’ io ti miri Veleggiar tra le nubi, o che serena Dominatrice dell’etereo campo,