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LA VITA SOLITARIA, La sua tranquilla imago il Sol dipinge, Ed erba o foglia non si crolla al vento, E non onda incresparsi, e non cicala Strider, nè batter penna augello in ramo, Nè farfalla ronzar, nè voce o moto Da presso nè da lunge odi nè vedi. Tien quelle rive altissima quiete; Ond’ io quasi me stesso e il mondo obblio Sedendo immoto; e già mi par che sciolte Giaccian le membra mie, nè spirto o senso Più le commova, e lor quiete antica Co’ silenzi del loco si confonda. Amore, amore, assai lungi volasti Dal petto mio, che fu si caldo un giorno, Anzi rovente. Con sua fredda mano Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo Che mi scendesti in' seno. Era quel dolce E irrevocabil tempo, allor che s’ apre Al guardo giovanil questa infelice Scena del mondo, e gli sorride in vista Di paradiso. Al garzoncello il core Di vergine speranza e di desio Balza nel petto; e già s’ accinge all’ opra Di questa vita come a danza o gioco Il misero mortai. Ma non si tosto, Amor, di te m’accorsi, e il viver mio Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi Non altro convenia che il pianger sempre. Pur se talvolta per le piagge apriche, Su la tacila aurora o quando al sole Brillano i tetti e i poggi e le campagne, Scontro di vaga donzolletta il viso; 0 qualor nella placida quiete D’estiva notte, il vagabondo passo Di rincontro alle ville soffermando, L’erma terra contemplo, e di fanciulla Che all’ opre di sua man la notte aggiunge