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IL SOGNO. La mente mia. Che se una volta sola . Dolor li strinse di mia negra vita, Non mel celar, ti prego, e mi soccorra La rimembranza or che il futuro è tolto Ai nostri giorni. E quella: li conforta, O sventurato. Io di pietade avara Non ti fui mentre vissi, ed or non sono, Che fui misera anch’ io. Non far querela Di questa infelicissima fanciulla. Per le sventure nostre, e per l’amore Che mi strugge, esclamai; per lo diletto Nome di giovanezza e la perduta Speme dei nostri di, concedi, o cara, Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in alto Soave e tristo, la porgeva. Or mentre Di baci la ricopro, e d’ affannosa Dolcezza palpitando all’ anelante Seno la stringo, di sudore il volto Ferveva e il petto, nelle (jtuci slava La voce, al guardo traballava il giorno. Quando colei teneramente affissi Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro Disse, che di beltà son falla ignuda? E tu d’amore, o sfortunato, indarno Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio. Nostre misere menti e nostre salme Son disgiunte in eterno. A me non vivi, E mai più non vivrai: già ruppe il fato La fe che mi giurasti. Allor d’angoscia Gridar volendo, e spasimando, e pregne Di sconsolato pianto le pupille, Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi Pur mi restava, e nell’incerto raggio Del Sol vederla io mi credeva ancora.