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IL SOGNO. L’.umana spème. A desiar colei Che d’ogni affanno il tragge, ha poco andare L’egrj) mortai; ma sconsolata arriva La morte ai giovanetti, e duro è il fato Di quella speme che sotterra è Spenta. Vano è saper quel che natura asconde Agl’ inesperti della vita, e mollo AH’ immatura sapienza il cieco Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara, Taci, taci, diss’io, che tu mi schianti Con questi detti il cor. Dunque sei morta, O mia diletta, ed io son vivo, ed era Pur fisso in cieLche quei sudori estremi Cotesta cara e tenerella salma Provar dovesse, a me restasse intera Questa misera spoglia? Oh quante volte In ripensar che più non vivi, e mai Non avverrà ch’io ti ritrovi al mondo, Creder noi pqssoI Ahi ahi, che cosa è questa Che morte s’ addimauda? Oggi per prova Intenderlo potessi, e il capo inerme Agli atroci del fato odii sottrarrei Giovane son, ma si consuma e perde La giovanezza mia come vecchiezza; La qual pavento, e pur in’è lunge assai. Ma poco da vecchiezza si discorda Il Dor dell’ età mia. Nascemmo al pianto, Disse, ambedue; felicità non rise Al viver nostro; e dileltossi il cielo De’nostri affanni. Or se di pianto il ciglio, Soggiunsi, e di pallor velato il viso Per la tua dipartita, e se d’ angoscia Porto gravido il cor; dimmi: d’ amore Favilla alcuna, o di pietà, giammai Verso il misero amante il cor t’assalse Mentre vivesti? Io disperando allora E sperando traea le notti e i giorni; Oggi nel vano dubitar si stanca LEOPARDI. 1. 5