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XIII. 43 IiA SERA REE DI DI FESTA. Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orli Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna. O donna mia, Già tace ogni sentiero, e pei balconi Rara traluce la notturna lampa: Tu dormi, che t’accolse agevol sonno Nelle lue chele stanze; e non ti morde Cura nessuna; e già non sai nè pensi Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto. Tu dormi: io questo ciel, che si benigno Appare in vista, a salutar m’ affaccio, E 1’ antica natura onnipossente, Che mi fece all’ affanno. A te la speme Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro Non hrillin gli occhi tuoi se non di pianto. Questo di fu solenne: or da’ trastulli Prendi riposo; e forse ti rimembra In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti Piacquero a te: non io, non già ch’io speri, AI pensier ti ricorro. Intanto io chieggo Quanto a viver mi resti, e qui per terra Mi getto, e grido, e fremo. O giorni orrendi In cosi verde etatel Ahi, per la via Odo non lunge il solitario canto Dell’ artigian, che riede a tarda notte, Dopo i sollazzi, al suo povero ostello; E fieramente mi si stringe il core,