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IL PRIMO AMORK. Ned io li conoscea, garzon di nove E nove Soli, in questo a pianger nato Quando facevi, Amor, le prime prove. Quando in ispregio ogui piacer, nè grato M’ era degli astri il riso, o dell’ aurora Quela il silenzio, ò il verdeggiar del prato. Anche di gloria amor taeeami allora Nel petto, cui scaldar tanto solea, Che di beltade amor vi fea dimora. Nè gli occhi ai noti studi io rivolgea, E quelli m’apparian vani per cui Vano ogni altro desir creduto avea. Deh come mai da me sì vario fui, E tanto amor mi tolse un altro amore? Deh quanto, in verità, vani siam nui! Solo il mio cor piaceami, e col mio core In un perenne ragionar sepolto, Alla guardia seder del mio dolore. E l’occhio a (erra chino o in se raccolto, Di riscontrarsi fuggitivo e vago Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto: Che la illibata, la candida imago Turbare egli temea pinta nel seno, Come all’ aure si turba onda di lago. E quel di non aver goduto appieno Pentimento, che l’anima ci grava, E il piacer che passò cangia in veleno, Per li fuggiti dì mi stimolava Tuttora il sen: che la vergogna il duro Suo morso in questo cor già non oprava. Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro Che voglia non m’entrò bassa nel petto, Ch’ arsi di foco intaminalo e puro. Vive quel foco ancor, vive l’affetto, Spira nel pensier mio la bella imago, Da cui, se non celeste, altro diletto Giammai non ebbi, e sol di lei m’appago.