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ULTIMO CANTO DI SAFFO. Placida nolle, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra la tacita selva in su la rupe, Nunzio del giorno; oh diletlose e care Mentre ignote mi fur 1’ erinni e il fato, Sembianze agli occhi miei; già non arride Spettacol molle ai disperali affetti. Noi l’insueto allor gaudio ravviva Quando per 1’ etra liquido si volve E per li campi trepidanti il flutto Polveroso de’ Noti, e quando il carro, Grave carro di Giove a noi sul capo Tonando, il tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde valli Nalar giova tra’ nembi, e noi la vasta Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’ alto Fiume alla dubbia sponda Il suono e la vittrice ira dell’ onda. Bello il (uo manto, o divo cielo; e bella Sei tu, rorida terra. Ahi di colesta Infinita beltà parte nessuna Alla misera Saffo i numi e l’empia Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni Vile, o natura, e grave ospite addetta, E dispregiata amante, alle vezzose Tue forme il core e le pupille invano Supplichevole intendo. A me non ride L’aprico margo, e dall’ eterea porta