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29 VII. ALLA PRIMAVERA, O DELLE FAVOLE ANTICHE. Perchè i celesti danni Ristori il sole, e perché l’aure inferme Zefiro avvivi, onde fugala e sparta Delle nubi la grave ombra s’ avvalla; Credano il petto inerme Gli augelli al vento, e la diurna luce Novo d’ amor desio, nova speranza Ne’ penetrati boschi e fra le sciolte Pruine induca alle commosse belve; Forse alle stanche e nel dolor sepolte Umane menti riede La bella età, cui la sciagura e l’atra Face del ver consunse Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti Di febo i raggi al misero non sono In sempiterno? ed anco, Primavera odorata, inspiri e tenti Questo gelido cor, questo eh’ amara Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara? Vivi tu, vivi, o santa Natura? vivi e il dissueto orecchio Della materna voce il suono accoglie? Già di candide ninfe i rivi albergo, Placido albergo e specchio Furo i liquidi fonti. Arcane danze D’iinmortal piede i ruinosi gioghi Scossero e l’ardue selve (oggi romito 3'