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AD ANGELO MAI. E il conforto peri de’ nostri affanni. Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo Sole splendeali in vista, Cantor vago dell’ arme e degli amori, Che in età della nostra assai men trista Empièr la vita di felici errori: Nova speme d’Italia. O torri, o celle, O donne, o cavalieri, O giardini, o palagi! a voi pensando, In mille vane amenità si perde La mente mia. Di vanità, di belle Fole e strani pensieri Si componea l’umana vita: in bando Li cacciammo: or che resta? or poi che il verda È spoglialo alle cose? Il certo e solo Veder che lutto è vano altro che il duolo. O Torquato, o Torquato, a noi 1’ eccelsa Tua mente allora, il pianto A te, non altro, preparava il cielo. Oh misero Torquato! il dolce canto Non valse a consolarli o a sciorre il gelo Onde 1’ alma t’avean, eh’ era sì calda, Cinta l’odio e l’immondo Livor privato e de’ tiranni. Amore, Amor, di nostra vita ultimo inganno, T’abbandonava. Ombra'reale e salda Ti parve il nulla, e il mondo Inabitata piaggia. Al tardo onore (4) Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno, L’ora estrema ti fu. Morte domanda Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda. Torna torna fra noi, sorgi dal mulo E sconsolalo avello, Se d’angoscia sei vago,- o miserando Esemplo di sciagura. Assai da quello Che ti parve si mesto e si nefando, È peggiorato il viver nostro. O caro, Chi li compiangeria,