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AD ANGELO MAI. Susurravano ancora Dal tocco di tua destra, o sfortunato Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce L’italo canlo. E pur men grava e morde Il mal che n’ addolora Del tedio che n’ affoga. Oh te beato, A cui fu vita il pianto 1 A noi le fasce Cinse il fastidio; a noi presso la culla Immolo siede, e su la tomba, il nulla. Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, Ligure ardita prole, Quand’olire alle colonne, ed oltre ai liti, Cui strider l’onde all’attuffar del sole Parve udir su la sera (2), agl’infiniti Fluiti commesso, ritrovasti il raggio Del Sol caduto, e il giorno Che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo; E rollo di natura ogni contrasto, Ignota immensa terra al tuo viaggio Fu gloria, e del ritorno Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto L’ eira sonante e 1’ alma terra e il mare AI fanciuliin, che non al saggio, appare. Nostri sogni leggiadri ove son giti Dell’ignoto ricello D’ignoti abitatori, o del diurno Degli astri albergo, e del rimoto letto Della giovane Aurora, e del notturno Occulto sonno del maggior pianeta (3)? Ecco svanirò a un punto, E figuralo è il mondo in breve caria; Ecco tulio è simile, e discoprendo, Solo il nulla s’ accresce. A noi li vieta Il vero appena è giunto, O caro immaginar; da le s’apparta Nostra mente in eterno; allo stupendo Poler luo primo ne sottraggon gli anni; 2*