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AD ANGELO MAI. A ricercar s’ a questa età si tarda Anco ti giovi, o patria, esser codarda. Di noi serbate, o gloriosi, ancora Qualche speranza? in tutto Non siam periti ? A voi forse il futuro Conoscer non si toglie. Io son distrutto Nè schermo alcuno ho dal dolor, che scuro M’è l’avvenire, e tutto quanto io scemo È tal che sogno e fola Fa parer la speranza. Anime prodi, Ai tetti vostri inonorata, immonda Plebe successe; al vostro sangue è scherno E d’ opra e di parola Ogni valor; di vostre eterne lodi Nè rossor più nè invidia; ozio circonda 1 monumenti vostri; e di viltade Siam fatti esempio alla futura etade. Bennato ingegno, or quando altrui non cale De’ nostri alti parenti, A te ne caglia, a le cui fato aspira Benigno si, che per tua man presenti Paion que’ giorni allor che dalla dira Obblivione antica ergean la chioma, Con gli sludj sepolti, I vetusti divini, a cui natura Parlò senza svelarsi, onde i riposi Magnanimi allegràr d’Atene e Roma. Oh tempi, oh tempi avvolti In sonno eterno ! Allora anco immatura La ruina d’Italia, anco sdegnosi Eravam d’ ozio turpe, e 1’ aura a volo Più faville rapia da questo suolo. Eran calde le tue ceneri sante, Non domilo nemico Della fortuna, al cui sdegno e dolore Fu più 1’ averno che la terra amico. L’ averno: e qual non è parte migliore Di questa nostra? E le lue dolci corde