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13 111. VI» ANGELO MAI, QUAND’ ebbe trovato i libri di cicerone • DELLA REPUBBLICA. Italo ardito, a che giammai non posi Di svegliar dalle tombe I nostri padri? ed a parlar gli meni A questo secol morto, al quale incombe Tanta nebbia di tedio? E come or vieni Si forte a’ nostri orecchi e si frequente, Voce antica de’ nostri, Muta si lunga etade ? e perchè tanti Risorgimenti? In un balen feconde Venner le carte; alla stagion presente I polverosi chiostri Serbaro occulti i generosi e santi Detti degli avi. E che valor t’infonde, Italo egregio, il fato? O con 1’ umano Valor forse contrasta il fato invano? Certo senza de’ numi alto consiglio Non è eh’ ove più lento E grave è il nostro disperato obblio, A percoter ne rieda ogni momento Novo grido de’ padri. Ancora è pio Dunque all’ Italia il cielo; anco si cura Di noi qualche immortale: Ch’ essendo questa o nessun’ altra poi L’ ora da ripor mano alla virtude Rugginosa dell’itala natura, Veggiam che tanto e tale È il clamor de’sepolti, e che gli eroi Dimenticati il suol quasi dischiude,