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DI FILIPPO OTTOMERI. corre molto probabilmente, sì dall’artificio sottilissimo e faticosissimo del suo stile, e sì dalla propria indole di quella poesia ; come anche da ciò che si legge in sulla fine del secondo delle Georgiche. Dove il poeta, contro l’uso dei Romani antichi, e massimamente di quelli d’ingegno grande, si professa desideroso della vita oscura e solitaria ; e questo in una colai guisa, che si può comprendere che egli vi è sforzato dalla sua natura, anzi che inclinato; e che l’ama più come rimedio o rifugio, che come bene. E perciocché, generalmente parlando, gli uomini di questa e dell’ altra specie, non sono avuti in pregio, se non se alcuni dopo morte, e quelli del secondo genere vivi, non che morti, sono in poco o niun conto ; giudicava potersi affermare in universale, che ai nostri tempi, la stima comune degli uomini non si ottenga in vita con altro modo, che con discostarsi e tramutarsi di gran lunga dall’essere naturale. Oltre di questo, perciocché nei tempi presenti tutta, per dir così, la vita civile consiste nelle persone del primo genere, la natura del quale tiene come il mezzo tra quelle de’due rimanenti ; conchiudeva che anche per questa via, come per altre mille, si può conoscere che oggidì l’uso, il maneggio, e la potestà delle cose, stanno quasi totalmente nelle mani della mediocrità. Distingueva ancora tre stali della vecchiezza considerata in rispetto alle altre età dell’ uomo. Nei principii delle nazioni, quando di costumi e d’abito, tutte le età furono giuste e virtuose; e mentre la esperienza e la cognizione degli uomini c della vita, non ebbero per proprietà di alienare gli animi dall’ onesto e dal retto ; la vecchiezza fu venerabile sopra le altre età: perchè colla giustizia e con simili pregi, allora comuni a tutte, concorreva in essa, come è natura che vi si trovi, maggior senno e prudenza che nelle altre. In successo di tempo,