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glielo rappresentassero molto maggiore di quello che egli sarebbe riuscito. E che intanto aveva latta ogni diligenza, per divertire la mente dal pensiero di quel bene, come si fa dai pensieri de’mali. Diceva altresì che ognuno di noi, da che viene al mondo, è come uno che si corica in un letto duro e disagiato : dove subito posto, sentendosi stare incomodamente, comincia a rivolgersi sull’uno e sull’altro fianco, e mutar luogo e giacitura a ogni poco ; e dura così tutta la notte, sempre sperando di poter prendere alla fine un poco di sonno, e alcune volte credendo essere in punto di addormentarsi ; finche venuta l’ora, senza essersi mai riposato, si leva. Osservando insieme con alcuni altri certe api occupate nelle loro faccende, disse : beate voi se non intendete la vostra infelicità. Non credeva che si potesse nè contare tutte le miserie degli uomini, nè deplorarne una sola bastantemente. A quella questione di Orazio, come avvenga che nessuno è contento del proprio stalo, rispondeva : la cagione è, che nessuno stalo è felice. Non meno i sudditi che i principi, nou meno i poveri che i ricchi, non meno i deboli che i potenti, se fossero felici, sarebbero contentissimi della loro sorte, e non avrebbero invidia all’altrui: perocché gli uomini non sono più incontentabili, che sia qualunque altro genere : ma non si possono appagare se non della felicità. Ora, essendo sempre infelici, che maraviglia è che non sieno mai coutenti? Notava che posto caso che uno si trovasse nel più felice stato di questa terra, senza che egli si potesse promettere di avanzarlo in nessuna parte e in nessuna guisa; si può quasi dire che questi sarebbe il più misero di tutti gli uomini. Anche i più vecchi hanno disegni e speranze di migliorar condizione in qualche maniera. E