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DI FILIPPO OTTONIEBI. derna, fu il naso rincagnato, e il viso da satiro, di un uomo eccellente d’ingegno e ardentissimo di cuore. Anche diceva, che nei libri dei Socratici, la persona di Socrate è simile a quelle maschere, ciascuna ideile quali nelle nostre commedie antiche, ha da per tutto un nome, un abito, un’indole; ma nel rimanente varia in ciascuna commedia. Non lasciò scritta cosa alcuna di filosofia, nè d’altro che non appartenesse a uso privato. E dimandandolo alcuni perchè non prendesse a filosofare anche in iscritto, come soleva fare a voce, e non deponesse i suoi pensieri nelle carte, rispose : il leggere è un conversare, che si fa con chi scrisse. Ora, come nelle feste e nei sollazzi pubblici, quelli che non sono o non credono di esser parte dello spettacolo, prestissimo si annoiano; così nella conversazione è più grato generalmente il parlare che l’ascoltare. Ma i libri per necessiti» sono come quelle persone che stando cogli altri, parlano sempre esse, e non ascoltano mai. Per tanto è di bisogno che il libro dica molto buone e belle cose, e dicale molto bene; acciocché dai lettori gli sia perdonato quel parlar sempre. Altrimenti è forza che così venga in odio qualunque libro, come ogni parlatore insaziabile. Capitolo Secoindo. Non ammetteva distinzione dai negozi ai trastulli ; e sempre che era stato occupato in qualunque cosa, per grave che ella fosse, diceva d’essersi trastullato. Solo se talvolta era stato qualche poco d’ora senza occupazione, confessava non avere avuto in quell'intervallo alcun passatempo. Diceva che i diletti più veri che abbia la nostra vita, sono quelli clic nascono dalle immaginazioni false; e