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278 DIALOGO DI FEDERICO RIJYSCU a lasciarmi succhiare il mio, come vi sono stato liberale di quel finto, che vi ho messo nelle vene (41). In somma, se vorrete continuare a star quieti e in silenzio, come siete stati finora, resteremo in buona concordia, e in casa mia non vi mancherà niente; se no, avvertite ch’io piglio la stanga dell’uscio, e vi ammazzo tutti. Morto. Non andare in collera; che io ti prometto che resteremo tutti morti come siamo, senza che tu ci ammazzi. Ruysch. Dunque che è cotesta fantasia che vi è nata adesso, di cantare? Morto. Poco fa sulla mezza notte appunto, si è compiuto per la prima volta quell’anno grande e matematico, di cui gli antichi scrivono tante cose; e questa similmente è la prima volta che i morti parlano. E non solo noi,ma in ogni cimitero, in ogni sepolcro, giù nel fondo del mare, sotto la neve o la rena, a cielo aperto, e in qualunque luogo si trovano, tutti i morti, sulla mezza notte, hanno cantato come noi quella canzoncina che hai sentita. Ruysch. E quanto dureranno a cantare o a parlare? Morto. Di cantare hanno già finito. Di parlare hanno facoltà per un quarto d’ora. Poi tornano in silenzio per insino a tanto che si compie di nuovo lo stesso anno. Ruysch. Se cotesto è vero, non credo che mi abbiate a rompere il sonno un’ altra volta. Parlate pure insieme liberamente ; che io me ne starò qui da parte, e vi ascolterò volentieri, per curiosità, senza disturbarvi. Morto. Non possiamo parlare altrimenti, che rispondendo a qualche persona viva. Chi non ha da replicare ai vivi, finita che ha la canzone, si accheta. Ruysch. Mi dispiace veramente : perchè m’immagino