Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/308

PARIMI, OVVERO DELLA GLORIA. egli, passato che fosse di vita, allora finalmente fosse per vivere. Il che da Cicerone si riferisce a un sentimento dell’immortalità degli animi propri, ingenerato da natura nei petti umani. Ma la cagione vera si è, che tutti i beni del mondo non prima sono acquistati, che si conoscono indegni delle cure e delle fatiche avute in procacciarli ; massimamente la gloria, che fra tutti gli altri, è di maggior prezzo a comperare, e di meno uso a possedere. Ma come, secondo il detto di Simonide (37), La bella speme lutti ci nutrica Di sembianze beate ; Onde ciascuno indarno si affatica ; Altri l’aurora amica, altri l’etate O la stagione aspetta ; E nullo in terra il mortai corso affretta, Cui nell’ anno avvenir facili e pii Con Pluto gli altri iddìi La niente non prometta ; così, di mano in mano che altri per prova è fatto certo della vanità della gloria, la speranza, quasi cacciata e inseguita di luogo in luogo, in ultimo non avendo più dove riposarsi in tutto lo spazio della vita, non perciò vien meno, ma passata di là dalla stessa morte, si ferma nella posterità. Perocché l’uomo è sempre inclinato e necessitato a sostenersi del ben futuro, così come egli è sempre malissimo soddisfatto del ben presente. Laonde quelli che sono desiderosi di gloria, ottenutala pure in vita, si pascono principalmente di quella che sperano possedere dopo la morte, nel modo stesso che niuno è così felice oggi, che disprezzando la vana felicità presente, non si conforti col pensiero di quella parimente vana, che egli si promette nell’avvenire.