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DI GIACOMO LEOPABDI. XXI lenzio, l’allegra solitudine e i soli tepidi e quasi orientali dell’inverno e della primavera soprawegnente, gl’infusero un nuovo raggio di vita; e la speranza rinasceva nel suo cuore impietrito come l’erba e i fiori fra le lastre di quelle vie. Nel giugno seguente ritornò in Firenze, e, sospirato assai più angosciosamente di Vittorio, che il mondo non fosse tutto Toscana, si ridusse, fra le malinconie del novembre, a Recanali. Quivi, nell’orribile inverno trascorso fra il 29 e il 30, gli s’ agghiacciarono 1’ ultima volta i sospiri sulle labbra e le lacrime sugli occhi. Si cantò da se stesso il canto della morte nelle Ricordanze, e poi, risorto nella primavera, si ricantò da se stesso il Risorgimento. E stretti l’ultima volta al suo cuore i suoi cari genitori, i suoi fratelli, Carlo ( il suo, più che fratello, amico) e la sua celeste sorella Paolina, se ne svelse dolorosamente, per non doverli mai più rivedere sulla terra. Riviaggiò, fra l’aprile e il maggio, per Bologna a Firenze, con animo di fermarsi quivi indefinitamente. Si riparavano allora in quella ospitale città, per elezione o per destino, quanto viveva d’ uomini più virtuosi e sapienti in tutta la sventurata Italia. Si stringeva la nobilissima e peregrina colonia intorno a Giovan Batista Niccolini, Gino Capponi e Giuliano Frullani, nobilissimo ed innocente triumvirato paesano, deputato a mostrare quel che fosse ultimo nella scienza e nella virtù, come i due antichi triumvirati quel che fosse ultimo nella malvagità e nella tirannia. Il Leopardi sviscerata- mente amò i peregrini e i paesani, e svisceratamente ne fu riamato: ed agli uni ed agli altri, sotto il dolcissimo nome di suoi amici di Toscana, dedicò tutti i suoi più LEOPARDI. — 1. C