Pagina:Leopardi - Opere I, Le Monnier, Firenze 1845.djvu/272

234 DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE* me con una menoma offesa, mi hanno voluto divorare ; molti serpenti avvelenarmi ; in diversi luoghi è mancato poco che gl’insetti volanti non mi abbiano consumato iniino alle ossa. Lascio i pericoli giornalieri, sempre imminenti all’uomo, e infiniti di numero; tanto che un filosofo antico (31) non trova contro al timore, altro rimedio più valevole della considerazione che ogni cosa è da temere. Nè le infermità mi hanno perdonato ; con tutto che io fossi, come sono ancora, non dico temperante, ma continente dei piaceri del corpo. Io soglio prendere non piccola ammirazione considerando come tu ci abbi infuso tanta e si ferma e insaziabile avidità del piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, come priva di ciò che ella desidera naturalmente, è cosa imperfetta; e da altra parte abbi ordinato che l’uso di esso piacere sia quasi di tutte le cose umane la più nociva alle forze e alla sanità del corpo, la più calamitosa negli effetti in quanto a ciascheduna persona, e la più contraria alla durabilità della stessa vita. Ma in qualunque modo, astenendomi quasi sempre e totalmente da ogni diletto, io non ho potuto fare di non incorrere in molte e diverse malattie : delle quali alcune mi hanno posto in pericolo della morte ; altre di perdere l’uso di qualche membro, o di condurre perpetuamente una vita più misera che la passata; e tutte per più giorni o mesi mi hanno oppresso il corpo e l’animo con mille stenti e mille dolori. E certo, benché ciascuno di noi sperimenti nel tempo delle infermità, mali per lui nuovi o disusati, e infelicità maggiore che egli non suole ( come se la vita umana non fosse baste- volmente misera per l’ordinario ) ; tu non hai dato all’uomo, per compensamelo, alcuni tempi di sanità soprabbondante e inusitata, la quale gli sia cagione di qualche diletto straordinario per qualità e per grandezza. Ne’ paesi coperti per lo più di nevi, io sono stato per