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232 DIALOGO DELLA MATURA E DI UN ISLANDESE. gli altri non ti offendano ; e cedendo sempre spontaneamente, e contentandosi del menomo in ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato. Ma dalla molestia degli uomini mi liberai facilmente, separandomi dalla loro società, e riducendomi in solitudine : cosa che nell’isola mia nativa si può recare ad effetto senza difficoltà. Fatto questo, e vivendo senza quasi verun’immagine di piacere, io non poteva mantenermi però senza patimento : perchè la lunghezza del verno, l’intensità del freddo, e l’ardore estremo della state, che sono qualità di quel luogo, mi travagliavano di continuo ; e il fuoco, presso al quale mi conveniva passare una gran parte del tempo, m’inaridiva le carni, e straziava gli occhi col fumo; di modo che, nè in casa nè a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo disagio. Nè anche potea conservare quella tranquillità della vita, alla quale principalmente erano rivolti i miei pensieri : perchè le tempeste spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla, il sospetto degl’ incendi, frequentissimi negli alberghi, come sono i nostri, fatti di legno, non intermettevano mai di turbarmi. Tutte le quali incomodità in una vita sempre conforme a se medesima, e spogliata di qualunque altro desiderio e speranza, e quasi di ogni altra cura, che d’esser quieta ; riescono di non poco momento, e molto più gravi che elle non sogliono apparire quando la maggior parte del- l’animo nostro è occupata dai pensieri della vita civile, e dalle avversità che provengono dagli uomini. Per tanto veduto che più che io mi ristringeva e quasi mi contraeva in me stesso, a fine d’impedire che l’esser mio non desse noia nè danno a cosa alcuna del mondo; meno mi veniva fatto che le altre cose non m’inquietassero e tribolassero; mi posi a cangiar luoghi e climi, per ve¬