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DIALOGO DI UN FISICO E DI UN METAFISICO. 217 ancora s’hanno a svegliare; e avuta questa, non dimandarono altra paga. Ma poiché siamo in sulle favole, eccotene uri’ altra, intorno alla quale ti vo’ proporre una questione. Io so che oggi i vostri pari tengono per sentenza certa, che la vita umana, in qualunque paese abitato, e sotto qualunque cielo, dura ' naturalmente, eccetto piccole differenze, una medesima quantità di tempo, considerando ciascun popolo in grosso. Ma qualche buono antico (24) racconta che gli uomini di alcune parti dell’ India e dell’ Etiopia non campano oltre a qua- rant’anni; chi muore in questa età, muor vecchissimo; e le fanciulle di sette anni sono di età da marito. Il quale ultimo capo sappiamo che, appresso a poco, si verifica nella Guinea, nel Decan e in altri luoghi sottoposti alla zona torrida. Dunque, presupponendo per vero che si trovi una o più nazioni, gli uomini delle quali regolarmente non passino i quarant’ anni di vita ; e ciò sia per natura, non, come si è creduto degli Ottentotti, per altre cagioni; domando se in rispetto a questo, ti pare che i detti popoli debbano essere più miseri o più felici degli altri? Fisico. Più miseri senza fallo, venendo a morte più presto. Metafisico. Io credo il contrario anche per cotesta ragione. Ma qui non consiste il punto. Fa un poco di avvertenza. Io negava che la pura vita, cioè a dire il semplice sentimento dell’esser proprio, fosse cosa amabile e desiderabile per natura. Ma quello che forse più degnamente ha nome altresì di vita, voglio dire l’efficacia e la copia delle sensazioni, è naturalmente amato e desiderato da lutti gli uomini : perchè qualunque azione o passione viva e forte, purché non ci sia rincrescevole o dolorosa, col solo essere viva e forte, ci riesce grata, eziandio mancando di ogni altra qualità dilettevole. Ora LEOPARDI. — 1. 10 218