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DIALOGO DI UN FISICO E DI UN METAFISICO. 215 Metafisico. Così credono gli uomini; ma s’ingannano: come il volgo s’inganna pensando che i colori sieno qualità degli oggetti; quando non sono degli oggetti , ma della luce. Dico che l’uomo non desidera e non ama se non la felicità propria. Però non ama la vita, se non in quanto la reputa instrumento o subbietto di essa felicità. In modo che propriamente viene ad amare questa e non quella, ancorché spessissimo attribuisca all’una l’amore che porta all’altra. Vero è che questo inganno e quello dei colori sono tutti e due naturali. Ma che l’amore della vita negli uomini non sia naturale, o vogliamo dire non sia necessario, vedi che moltissimi ai tempi antichi elessero di morire potendo vivere, e moltissimi ai tempi nostri desiderano la morte in diversi casi, e alcuni si uccidono di propria mano. Cose che non potrebbero essere se l’amore della vita per se medesimo fosse natura dell’uomo. Come essendo natura di ogni vivente l’amore della propria felicità, prima cadrebbe il mondo, che alcuno di loro lasciasse di amarla e di procurarla a suo modo. Che poi la vita sia bene per se medesima, aspetto che tu me lo provi, con ragioni o fìsiche o metafisiche di qualunque disciplina. Per me, dico che la vita felice, saria bene senza fallo; ma come felice, non come vita. La vita infelice, in quanto all’essere infelice, è male; e atteso che la natura, almeno quella degli uomini, porta che vita e infelicità non si possono scompagnare, discorri tu medesimo quello che ne segua. Fisico. Di grazia, lasciamo cotesta materia, che é troppo malinconica; e senza tante sottigliezze, rispondimi sinceramente: se l’uomo vivesse e potesse vivere in eterno; dico senza morire, e non dopo morto; credi tu che non gli piacesse? Metafisico. A un presupposto favoloso risponderò 216 DIALOGO DI UN