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DIALOGO D’ l'UCOLE E DI ATLANTE. 167 e di acquistare opinione di buon cocchiere con Andromeda e Callisto e colle altre belle costellazioni, alle quali è voce che nel passare venisse gittando mazzolini di raggi e pallottoline di luce confettate; e di fare una bella mostra di se tra gli Dei del cielo nel passeggio di quel giorno, che era di festa. In somma, della collera di mio padre non te ne dare altro pensiero, che io m’obbligo, in ogni caso, a rifarti i danni; e senza più cavati il cappotto e manda la palla. Atlante. 0 per grado o per forza, mi converrà fare a tuo modo; perchè tu sei gagliardo e coll’arme, e io disarmato e vecchio. Ma guarda almeno di non lasciarla cadere, che non se le aggiungessero altri bernoccoli, o qualche parte se le ammaccasse, o crepasse, come quando la Sicilia si schiantò dall’Italia e l’Affrica dalla Spagna ; o non ne saltasse via qualche scheggia, come a dire una provincia o un regno, tanto che ne nascesse una guerra. Ercole. Per la parte mia non dubitare. Atlante. A te la palla. Vedi che ella zoppica, perchè l’è guasta la figura. Ercole. Via, dalle un po’ più sodo, che le tue non arrivano. Atlante. Qui la botta non vale, perchè ci tira garbino al solito, e la palla piglia vento, perch’ è leggera. Ercole. Cotesta è sua pecca vecchia, di andare a caccia del vento. Atlante. In verità non saria mal fatto che ne la gonfiassimo, che veggo che ella non balza d’in sul pugno più che un popone. Èrcole. Colesto è difetto nuovo, che anticamente ella balzava e saltava come un capriolo. Atlante. Corri presto in là; presto ti dico; guarda