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LA GINESTRA. Con gran lavoro, e l’opre, E le ricchezze ch’adunate a prova Con lungo affaticar l’assidua gente Avea provvidamente al tempo estivo, Schiaccia, diserta e copre In un punto; cosi d’alto piombando, Dall’ utero tonante Scagliata al ciel, profondo Di ceneri, di pomici e di sassi Nolte e mina, infusa Di bollenti ruscelli, O pel montano fianco Furiosa tra l’erba Di liquefatti massi E di metalli e d’infocata arena Scendendo immensa piena, » Le cittadi che il mar là su l’estremo Lido aspergea, confuse E infranse e ricoperse In pochi istanti : onde su quelle or pasce La capra, e città nove Sorgon dall’ altra banda, a cui sgabello . Son le sepolte, e le prostrate mura L’arduo monte al suo piè quasi calpesta. Non ha natura al seme Dell’ uom più stima o cura Ch’ alla formica : e se più rara in quello Che nell’ altra è la strage, Non avvien ciò d’altronde Fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde. Ben mille ed ottocento Anni varcàr poi che sparirò, oppressi Dall’ ignea forza, i popolati seggi, E il villanello intento Ai vigneti che a stento in questi campi Nutre la morta zolla e incenerita, Ancor leva lo sguardo Sospettoso alla vetta