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LA GINESTRA. E procedere il chiami. Al tuo pargoleggiar gl’ iugegni tulli Di cui lor sorte rea padre li fece Vanno adulando, ancora Ch’ a ludibrio talora T’ abbian fra se. Non io Con tal vergogna scenderò sotterra : E ben facil mi fora Imitar gli altri, e vaneggiando in prova, Fanpi agli orecchi tuoi cantando accetto: Ma il disprezzo piultoslo che si serra Di te nel petto mio, Mostralo avrò quanto si possa aperto.: Bench’ io sappia che obblio Preme chi troppo all’ età propria increbbe. Di queslo mal, che teco Mi fia comune, assai finor mi rido. Liberlà vai sognando, e servo a un tempo Vuoi di novo il pensiero, Sol per cui risorgemmo Dalla barbarie in parte, e per cui solo Si cresce in civiltà, che sola in meglio Guida i pubblici fati. Cosi ti spiacque il vero Dell’ aspra sorte e del depresso loco Che natura ci diè. Per queslo il tergo Vigliaccamente rivolgesti al lume Che il fe palese; e, fuggitivo, appelli Vii chi lui segue, e solo Magnanimo colui Che se schernendo o gli altri, astuto o folle, Fin sopra gli astri il mortai grado estolle. Uom di povero stato e membra inferme Che sia dell’alma generoso ed alto, Non chiama se nè stima Ricco d’or nè gagliardo, E di splendida vita o di valente Persona infra la gente LEOPARDI. — 1. ìt